Grazia Catelli Siscar
Anilila e il mondo di cristallo
L'automobile dentro la quale viaggiavano Benvenuto e il suo papà, ancora una volta si mise a fare capriole, piroette, saliscendi e tutta una serie di pericolose rivoluzioni, sbatacchiata senza pietà dall'uragano.
Papà Alfredo urlava a squarciagola che tutto sarebbe finito nel migliore dei modi, per rassicurare il figlioletto seduto dietro. Un atteggiamento che però non rincuorava affatto! Terrorizzato in realtà più lui del bambino, si aggrappava al volante bisbigliando patteggiamenti con il Creatore: «Signore del Cielo, ti prego aiutaci ad arrivare a casa sani e salvi e io prometto che aggiusterò la televisione a zio Lorenzo (cosa che rimandava da tempo), prometto che non barerò più a carte con Ernesto (il suo migliore amico che si divertiva a vedere sconfitto per poi prenderlo in giro), prometto che farò pace con Fufi anche se mi ringhia sempre contro (il grosso cane dei vicini)...»
Benvenuto, al contrario, non era spaventato perché sapeva la verità, ovvero che il ciclone era una sorta di veicolo magico per viaggiare verso luoghi e avventure straordinari. Infatti, come già era accaduto, all'improvviso tutto quel fragore finì e l'automobile planò, questa volta leggera e senza danni, sopra ad un pianeta bianco.
Il bambino volle sincerarsi che il padre stesse bene, prima di scendere dalla vettura, nonostante la certezza di trovarlo addormentato. Infatti, come dopo ogni atterraggio in quei mondi strani ai quali il ciclone li conduceva, il papà stava ronfando ignaro e beato come un ghiro.
Benvenuto aprì la portiera e saltò giù. Lo fece incautamente, senza guardare dove metteva i piedi, e avrebbe desiderato volare in quel preciso momento perché i suoi piedi erano spariti! Li tirò su rapidamente, uno per volta e ce li aveva ancora, che sollievo! Erano solo immersi in una bassa e densa nebbiolina celeste pallido pallido, quasi bianca, la quale ricopriva tutto il suolo. Si guardò intorno: il cielo e l'aria avevano lo stesso colore ceruleo, che è una sorta di azzurrino morbido e delicato, quasi pastoso. E proprio perché tutto aveva quasi lo stesso colore, non era possibile vedere un orizzonte, cioè un confine tra il cielo e la terra. Comunque, basso approssimativamente come all'ora del tramonto o dell'alba (sembrava difficile stabilire l'ora del giorno in quel pianeta) qualcosa se ne stava appeso lassù. Forse era un sole, però aveva l'aspetto di un gigantesco diamante. Cristallino, trasparente e sfaccettato, roteava lento rifrangendo la luce e la scomponeva in un milione di raggi colorati. Uno spettacolo stupefacente!
Benvenuto rimase con la bocca aperta e il naso per aria a lungo, incapace di distogliere lo sguardo.
Anche le forme di vita sembravano fatte di cristallo, perché spuntavano dalla nebbiolina del terreno e si ergevano e si ramificavano come alberi di limpidissimo ghiaccio.
Si avvicinò per toccarne uno, voleva sfiorare con le dita la superficie levigata e lucida e capire se erano freddi o chissà, forse invece caldi. Non era più sicuro di niente. In fondo era già approdato, nella sua prima avventura, in un mondo fatto tutto al rovescio, dove l'aria era verde e i prati blu, nel cielo splendevano ben due soli e per giunta rosa, e fiori giganteschi sovrastavano alberi minuscoli. Aveva conosciuto, nel secondo accidentato viaggio, una fatina smemorata e dolcissima che sapeva fare cose incredibili e un'orco cattivo che sognava di essere un super eroe buono. Insomma, doveva aspettarsi di tutto ed essere pronto alle più strabilianti sorprese. Quindi saltellò goffamente fino all'albero più vicino; saltellava ed era goffo perché camminare senza vedersi i piedi gli faceva uno strano effetto. Tuttavia, quando provò a toccare l'esile e trasparente fusto, ciò accadde fu molto più che strano! Non riuscì proprio a toccarlo, acchiapparlo, sfiorarlo, niente di niente, era come fatto d'aria. Allungò più volte la mano, ma niente da fare. L'albero era lì, davanti ai suoi occhi, perbacco lo vedeva bene! Eppure non aveva consistenza: la sua mano passava attraverso quella cosa come se non esistesse!
«Non puoi toccare un pensiero...»
A quelle parole, che non capiva da quale direzione provenissero e soprattutto da chi, Ben si voltò.
Vide una creatura luminosa, anch'essa quasi trasparente.
«Ciao bambino» disse ancora la creatura senza muovere la bocca e Ben capì che la voce proveniva indubbiamente da quell'essere, perché non c'era nessun'altro nei paraggi. Una voce strana, che pareva quasi una melodia, ma soprattutto era come se gli cantasse direttamente nel cervello.
«Sì bambino, parlo nella tua mente. Qui non abbiamo bisogno delle parole».
«Wow!» esclamò Ben, che stava pensando ad Amistad, l'amica fatina. Anche lei sapeva leggere nel pensiero, però lui non sentiva la sua voce parlargli nella testa!
«Si chiama telepatia» precisò l'essere trasparente.
Benvenuto non disse altro; era incantato dalla bellezza stravagante di quella forma di vita e ne aveva anche un po' soggezione. Volava così etereo, luminoso e leggero nell'aria celeste, accanto all'albero di vetro e sotto al sole di cristallo... pareva la visione di un bel sogno.
Gli balenò un pensiero preoccupante, improvviso come una frecciata: "Sono morto! Ci siamo sfracellati a causa dell'uragano e questo è l'aldilà!"
Ma a quel punto gli rimbombò in testa la risata della creatura. Tintinnante e cristallina come tutto il resto.
«Mi chiamo Nilil e siamo nel mondo di Ighilor» chiarì l'uomo trasparente, ovviamente leggendogli il pensiero.
Ben avrebbe voluto toccarlo per sapere se anche lui era fatto d'aria, ma non osava.
«Puoi farlo se vuoi, ma la mia materia è più leggera della tua, quindi la tua mano mi attraverserà, come ha attraversato l'albero» disse Nilil continuando a leggere nella mente del bambino.
Ben allungò esitante il suo indice destro verso quella strano personaggio ma, come annunciato, non lo sfiorò nemmeno, il suo dito passò la creatura da parte a parte.
«Perché qui non posso toccare niente?» si decise infine a chiedere.
«Perché qui le nostre vibrazioni sono più veloci delle tue e questo ci rende leggeri e trasparenti».
«Cos'è una vibrazione?» Benvenuto voleva proprio capire, ma temeva che non sarebbe stato in grado di comprendere la risposta.
Nilil guardò il bambino con tenerezza e disse: «Tutto ciò che esiste nell'universo, le stelle, i pianeti, le creature viventi, gli oggetti, tutto, dentro, è fatto di speciali palline piccolissime che non stanno mai ferme perché vibrano come matte! Tuttavia sono così piccole che per vederle è necessario un microscopio. Queste palline si chiamano atomi. L'acqua, l'aria, i sassi, il tuo corpo, il libro di favole che vuoi comprare, la crostata della tua mamma... tutto insomma è fatto proprio così... di palline! Queste palline non sono attaccate tra loro, anzi tra l'una e l'altra c'è tanto spazio vuoto, e si muovono, vibrano tutte, ma non tutte alla stessa velocità. Alcune camminano, altre corrono, altre sfrecciano!».
«Anche la dentiera della nonna vibra? Per questo le vola sempre via?» interruppe Ben.
Nilil rise cristallino: «Sì, anche la dentiera della nonna vibra!»
«Anche il mio corpo?»
«Certo, anche il tuo corpo! A te sembra solido, duro, ma se tu potessi vederlo al microscopio, scopriresti che in realtà è vuoto, perché c'è un sacco di spazio tra una pallina e l'altra; c'è così tanto spazio che le cose più leggere, come lo sono ad esempio la luce e l'aria, ci possono passare in mezzo e attraversarlo».
Dopo quella spiegazione Ben cominciò a guardarsi le mani per capire come potessero esser fatte di tante palline minuscole e con tanto vuoto in mezzo. A lui sembravano le solite mani di sempre!
«Quando una cosa è fatta di tante palline lente, allora quella cosa lì la puoi toccare: il sasso, la dentiera della nonna, le tue mani, li puoi toccare» riprese a spiegare Nilil. «Quando le cose sono fatte invece di palline che corrono, come il vapore o il vento, diventano tanto leggere che non puoi toccarle. E se una cosa è fatta di palline velocissime, non solo non la puoi toccare, ma addirittura non la puoi nemmeno vedere, come un pensiero, ad esempio».
«I pensieri sono cose?» chiese Ben davvero stupito da quell'affermazione.
«Certo, i pensieri sono cose, ma le loro palline vibrano a una tale velocità da renderli invisibili. E sono più veloci della luce! Se dal tuo pianeta terra mandi un pensiero e un raggio di luce su Marte e li spedisci insieme, il pensiero arriva prima, è istantaneo!»
«Vero!» esclamò Ben. «Io con il pensiero vado sempre sulla luna e sulle stelle e ci arrivo in un baleno!»
«Certo. E devi sapere che le cose invisibili sono molto potenti. Il pensiero, infatti, ha grandissimi poteri, per questo motivo va saputo usare».
«Cosa può fare un pensiero?» La mente di Ben era in fermento perché aveva capito tutto, e l'argomento non poteva essere più eccitante per lui che desiderava diventare un mago!
«Sì, puoi diventare un vero mago se impari a usare il pensiero» disse Nilil per il quale la mente di Benvenuto non aveva segreti. Poi alzò lo sguardo e indicò il cielo.
«Guarda!» esclamò.
Ben alzò gli occhi a sua volta e vide un drago, anch'esso trasparente come il cristallo, dirigersi in picchiata verso di loro.
«Haaa!» gridò spaventato quando il gigantesco volatile atterrò a pochi passi da lui. Tuttavia ebbe immediatamente un pensiero rassicurante: un drago di cristallo non può sputare fuoco! No infatti, ma proprio mentre Ben stava pensando a questo, il mostro sputò un violentissimo getto bianco come ghiaccio, o come azoto liquido, che congelò all'istante il suo berretto. A quel punto il berretto gli cadde dalla testa e si frantumò al suolo in mille pezzi, proprio come il cavallino di cristallo della mamma che Ben aveva fatto cadere giocando a pallone. Il suo corpo non era stato colpito dal soffio tremendo del drago, ma la paura lo paralizzava come se fosse congelato anche lui, e ora sembrava una statua di ghiaccio.
«Sei davvero buffo con quell'espressione spaventata! Non temere, il drago è innocuo, l'ho creato io con il mio pensiero». Nilil parlava e sorrideva canzonando un po' il bambino.
«Come fai a creare con il pensiero?» chiese Ben con una specie di mugugno, perché non muoveva nemmeno un muscolo, quasi nemmeno la bocca, sempre per via della fifa, e adesso non sembrava più una statua di ghiaccio ma una mummia imbalsamata!
«Come ti dicevo, il pensiero è qualcosa di potentissimo. Può creare tutto quello che vuoi, può creare le tue avventure e tutta la realtà che ti circonda. Questo mondo, Ighilor, è una creazione dei nostri pensieri».
«È difficile creare con il pensiero?»
«No, ma è necessario conoscere le istruzioni. Devi pensare all'avventura che desideri, immaginarla con tutta la potenza della tua mente e avere fede che succederà. Una fede cieca».
«Sembra una cosa facile!» esultò Ben.
«Lo sarebbe se non ci fosse di mezzo il dubbio. Il dubbio di non riuscire, di non esserne capace. Bisogna credere in se stessi e nell'universo che ha creato questa legge perfetta. La chiave è la fede. Sei certamente un mago, ma devi crederci tu per primo e devi avere fede nella tua magia».
«Perché hai creato un drago?» chiese ancora il bambino, affascinato dalle cose che gli insegnava Nilil.
«Per condurti in un luogo preciso dentro la città di Ighilor. Non sai volare con il pensiero, hai bisogno di un mezzo di trasporto».
A quelle parole il drago piegò le zampe anteriori e chinò la testa perché Benvenuto e Nilil potessero saltargli in groppa.
Ben capì, ma obbiettò: «Non posso toccare il drago, è fatto come te e come l'albero, quindi non posso nemmeno salirci sopra!»
«Non preoccuparti» rispose il suo nuovo, trasparente amico. Subito dopo quella frase Ben avvertì un calore fortissimo; per un'attimo gli parve di prendere fuoco, poi sentì una scarica elettrica e cominciò a vibrare come quando aveva la febbre alta ma molto più forte, come se dovesse esplodere. Ebbe una paura tremenda, pensò di morire. Quando la sensazione finì, stava luccicando tutto e si guardò di nuovo le mani: ora sembravano di gelatina trasparente! Che cosa assurda gli stava capitando?
«Non preoccuparti bambino, ti ho colpito con uno speciale raggio "termogenico"».
«Un raggio termo cosa?» chiese Ben continuando a guardare sbigottito il suo corpo trasparente.
«Un raggio che provoca molto calore e in questo modo aumenta la velocità delle palline di cui è fatto il tuo corpo. Adesso vibrano così veloci che sei diventato più leggero. Tuttavia non potrai mantenere a lungo questa forma, rischi la disgregazione».
«La disgregazione?» ripeté Ben a pappagallo, in stato confusionale.
«Sì, la disgregazione, cioè le palline del tuo corpo potrebbero sparpagliarsi nell'aria di Ighilor e allora tu non esisteresti più. Vieni, abbiamo poco tempo; ora puoi salire sul drago».
Nilil volò in groppa alla creatura alata, invece Ben restò immobile, paralizzato dall'orribile pensiero del suo corpo soffiato via come i bollini di carta dei coriandoli.
«Coraggio, salta su!» lo esortò Nilil.
Benvenuto obbedì e appena fu in sella al drago, questi si alzò in volo e sfrecciò via nell'aria cerulea.
«Dove stiamo andando?» chiese mentre si aggrappava con le sue mani di gelatina trasparente alla cresta dorsale del mostro che sembrava fatta di taglienti squame vetrose.
«Da una giovane creatura di Ighilor che spero tu possa aiutare».
«Aiutare io uno di voi? Ma sapete fare molte più cose di me. Io sono solo un bambino umano!» rispose Ben mentre abbassava la testa per schivare il ramo di un albero contro il quale pareva lanciato il drago a tutta velocità (dimenticando che a Ighilor era tutto vaporoso).
«Gli umani sono creature molto potenti, in particolare i bambini; sono tutti piccoli maghi, non lo sapevi?» precisò Nilil.
Benvenuto non rispose. Assunse una postura più eretta e fiera mentre saettava dell'aria azzurrina a cavalcioni del mostro volante, e uno scintillio d'orgoglio balenò nei suoi occhi. Ebbene sì, lo aveva sempre sospettato di essere un mago!
Il drago fece una pericolosa virata e una discesa in avvitamento, come un aereo che perde il controllo.
Mentre Ben pensava a quanto sarebbe stato meglio che Nilil avesse materializzato un mezzo di trasporto meno inquietante, come ad esempio un poetico Unicorno alato, vide finalmente la città di Ighilor. Adamantina e luminosa come tutto il resto e sospesa nel vuoto, dato che galleggiava in cielo.
Il drago atterrò sopra ad una sporgenza rocciosa e favorì la discesa dei due passeggeri piegando le zampe anteriori. Poi lanciò un specie di rauco grido e volò via.
«Vieni» disse Nilil dirigendosi dentro la città, seguito da Ben.
Tutto appariva limpido e scintillante. Le case erano come di ghiaccio, intagliato con tale finezza che parevano decorate di pizzi e trine. La luce che proveniva dal sole di cristallo, penetrava l'aria azzurra e si rifrangeva da un edificio all'altro saettando con guizzi di surreale bellezza. Benvenuto camminava dietro a Nilil, ammutolito da quello spettacolo emozionante.
Il nuovo e risoluto amico trasparente lo condusse fin dentro ad una abitazione, dove sembrava che un'intera famiglia li stesse aspettando. Furono accolti con grande gentilezza e Ben si ritrovò circondato da una mamma, due creature piccole e una più grandicella, a occhio e croce della sua età. Notò subito che sembrava meno trasparente degli altri, come a dire... un poco più densa.
«Questa è la mia famiglia» disse Nilil con una luce piena di amore nello sguardo. «E lei è la mia figlia maggiore, Anilila. Ti ho condotto qui, bambino terrestre, perché ha bisogno del tuo aiuto».
Benvenuto osservò Anilila: lei non scintillava come gli altri e aveva un'espressione triste. Pensò che forse era ammalata, però lui non era mica un dottore, e men che meno un dottore extraterrestre!
«Ha perduto la capacità di sognare e l'immaginazione, così ora non può più creare la sua vita. Diventa ogni giorno più densa e la perderemo se nessuno troverà il modo di guarirla» spiegò Nilil.
Ben si avvicinò alla bimba e istintivamente la prese per mano, come faceva sempre con Rosita, la sua compagna di banco, quando la vedeva triste. Pensò che forse Anilila nascondeva un segreto, qualcosa che la tormentava e magari, se fossero stati soli, lei glielo avrebbe rivelato; anche Rosita, quando si sgravava di un peso condividendolo con lui che era il suo migliore amico, stava subito meglio.
Bastò quel pensiero, che gli fu letto nella mente, perché l'intera famiglia volasse via, lasciandoli soli nella grande stanza lucida e brillante. Anilila si accostò alla finestra tutta intarsiata di cristallino merletto, e rivolse uno sguardo mesto al panorama mozzafiato, dove il sole adamantino giocava con la luce, appeso nel più dolce azzurro che si possa immaginare e dove strane creature volteggiavano come uccelli bianchi.
Benvenuto si avvicinò a lei e disse: «Nemmeno in un milione di anni saprei immaginare qualcosa di tanto bello come questo vostro mondo».
«Tu cosa sai fare?» chiese Anilila.
«Io sono capace di sognare avventure e, quando le sogno ad occhi aperti, mi sembra di viverle davvero. Così posso andare ovunque. Posso diventare un astronauta che parte per la luna, o un esploratore che cerca un tesoro perduto».
«Sembra divertente» disse Anilila.
«Lo è» rispose Ben. «Ma è soprattutto leggendo le fiabe che viaggio con la fantasia. Scommetto che qui non esistono i libri di favole, perché non ne avete bisogno, voi potete creare qualunque cosa vogliate in qualunque momento».
«Io non so più farlo» sussurrò Anilila. «Tutto è cominciato una notte, dopo l'orribile sogno di un mondo selvaggio, abitato da creature feroci. Si riunivano in grandi gruppi, gli uni contro gli altri, e tentavano di eliminarsi a vicenda. C'era così tanto fuoco! Ho avuto molta paura e non posso dimenticare tutto quel dolore! Da quel giorno ho perduto il sorriso e i miei poteri».
La bimba concluse il racconto del suo sogno e rivolse a Ben gli occhioni smeraldini, lucidi e belli come due gemme preziose. Ma tanto malinconici che sembravano sul punto di piangere.
«Credo che tu, per qualche strano motivo, abbia visto in sogno il mio pianeta, o forse, chissà, un pianeta molto simile al mio. E hai visto la guerra, una cosa brutta e priva di senso che fanno gli umani» fu la risposta di Ben, che ora aveva lo sguardo altrettanto mesto. Però, le sue stesse parole, accesero in lui nuove riflessioni. Quella bambina aveva perduto i propri fantastici poteri quando la sua mente si era contaminata con la tristezza, la paura e il dolore. Prima di questo fatto, quando era immersa nella pace e nella bellezza, possedeva il potere, come una sua naturale qualità. Allora, forse, è la mancanza di pace che impedisce di essere dei creatori. Sono il dolore, la paura e la tristezza i nemici del potere!
"Wow che scoperta fantastica ho fatto!" disse tra sé e sé.
«Hai ragione!» esclamò Anilila, che non aveva perduto la capacità di leggere il pensiero.
«In realtà, amico mio, la vera natura di tutte le creature è fatta di pace e di armonia. Quindi il dolore, la paura e la tristezza provengono dall'esterno, non sono realmente parte di noi! Se non le lasciamo entrare possiamo mantenere e usare tutto il potere dell'universo!» Ora gli occhioni di Anilila scintillavano di felicità.
A Benvenuto girava la testa. Quella rivelazione era così forte che la sentiva quasi come una deflagrazione dentro al petto. Sapeva di aver appena scoperto un grandioso segreto, e che grazie a quello avrebbe potuto finalmente trasformarsi nel mago che sognava di essere.
Anilila gli buttò le braccia al collo in un impeto di gioia e lui si accorse che la bimba stava diventando eterea come gli esseri della razza alla quale apparteneva. Capì che in un solo istante, grazie a quello che avevano scoperto insieme, recuperava la salute e tutto il suo potere.
Nilil, la mamma e i fratellini tornarono, volando, proprio in quel momento.
Una grande felicità si leggeva sui volti luminosi di tutta la famiglia, si percepiva nell'aria azzurra, e persino si udiva, perché i loro cuori stavano cantando di gioia. Sembrava che anche il vento volesse unire la propria voce a quel coro di riconoscenza, e persino il sole di diamante esultava, roteando più veloce e più brillante.
Benvenuto fu preso per le braccia e portato in volo, come un eroe, nella piazza principale della città, dove si erano riuniti gli abitanti per manifestare al bambino la riconoscenza di tutto il popolo di Ighilor.
Lui era al settimo cielo dalla contentezza, tuttavia sentiva turbinare la testa come una centrifuga e aveva cominciato a tremare tutto.
«Presto!» disse Nilil. «Dobbiamo riportarlo indietro, non può reggere più a lungo la velocità di vibrazione che ho dato al suo corpo!»
Mentre il popolo cantava in coro: "arrivederci bambino della terra", Anilila creò un magnifico Unicorno volante, regalo di addio all'amico che aveva salvato la sua vita. La celestiale creatura sfiorò Benvenuto senza perdere tempo ad atterrare; bianco, superbo, con le ali dispiegate nell'azzurro del cielo, era pronto per la cavalcata del viaggio di ritorno. Nilil sollevò il bambino, lo mise in sella e salì a sua volta.
l'Unicorno si librò immediatamente in volo, leggerissimo ed elegante, e sfrecciò così alto nel cielo che sembrò avvicinarsi all'astro di diamante. Non appena giunsero al luogo dove l'automobile di Ben era caduta, il cavallo volante scese morbidamente e i due cavalieri saltarono giù dalla sua groppa, atterrando nella nebbiolina azzurra del suolo. Nilil inviò sul bambino un fresco soffio, come un alito di ghiaccio. Quello speciale raggio freddo rallentò la velocità di vibrazione degli atomi, le palline del corpo di Ben, che perse la trasparenza e riacquistò il suo normale aspetto, consistente e roseo.
L'Unicorno strofinò il suo muso contro la fronte del bambino in un tenero gesto d'affetto, poi si alzò in volo grazie a tre poderosi battiti d'ala, e scomparve.
Ben sentì immediatamente una fitta di nostalgia dentro al cuore. Avrebbe dato chissà cosa per portare il celestiale cavallo con sé, nel suo mondo.
Guardò dentro l'automobile per vedere se il papà dormiva ancora. Si stava svegliando proprio in quel momento, ma aveva gli occhi chiusi e sbadigliava, come sempre ignaro di tutto.
La vettura era indenne e non gli restava che salire; sapeva che l'uragano sarebbe riapparso per condurlo, questa volta, chissà dove.
Guardò Nilil che lo stava osservando con grande dolcezza ma, allo stesso tempo, con una sfumatura di malinconia nel sorriso.
«Nilil, devo farti una domanda» disse avvicinandosi all'amico etereo. «Qual'è la cosa più importante dell'universo?»
Quella domanda, che aveva sentito porre dal terribile elfo Palantir durante la sua prima avventura, non smetteva di tormentarlo e aveva deciso di farla a tutti i nuovi amici dei mondi che visitava. Qualcuno prima o poi avrebbe dato la risposta giusta!
«La pace interiore» rispose Nilil senza esitare.
Certo, la pace interiore era il requisito che dava agli abitanti di Ighilor i loro grandi poteri, anzi, li dava a tutte le creature, come Ben aveva scoperto. Ma era davvero quella la risposta corretta?
Salì in auto dopo un'ultimo saluto, senza abbracci perché non lo poteva toccare il corpo di Nilil, e si allacciò la cintura di sicurezza in attesa del ciclone.
Un fischio tremendo ne annunciò l'arrivo, puntuale, fragoroso e ballerino come al solito, e puntualmente il papà, ormai del tutto sveglio, cominciò a gridare concitate parole di conforto al figlio.
Mentre si chiedeva dove sarebbero finiti questa volta, Ben sentì qualcosa di acuminato pungergli il sederino. Mise una mano nella tasca posteriore dei pantaloni e... sorpresa! Un piccolo Unicorno di cristallo era lì, tra le sue mani, che tremavano per l'emozione. Come ci era finito nella tasca posteriore dei suoi calzoncini?
In quel momento udì un messaggio telepatico di Anilila:
«Desideravi tanto portare l'Unicorno con te, quindi l'ho reso possibile! Ora starete sempre insieme. E la notte, quando avrai voglia di viaggiare con la fantasia, lui si trasformerà di nuovo nel magnifico destriero volante e ti condurrà ovunque vorrai».
Ben si portò il cavallino al petto; non poteva ricevere dono più bello. Forse anche l'Unicorno della mamma, quello che incidentalmente lui aveva rotto, era stato il magico destriero di quando era bambina? Decise di regalarle il suo, non appena fossero tornati.
Chiuse gli occhi, colmo di gratitudine e commozione, mentre l'automobile veniva risucchiata dal tornado e ricominciava la sua danza attraverso lo spazio e il tempo.