Le magiche avventure di Ben quarto episodio: La foresta incantata

Prima parte


L'aria era come un oceano tinto di sangue. Ribolliva minacciosa trafitta da fulmini color acciaio e improvvisi squarci di viola.
Ben tentava di guardare dai finestrini dell'automobile capovolta, appeso alla cintura di sicurezza a testa in giù, mentre il fragore dell'uragano si univa a un preoccupante stridere di lamiere contorte.
Come al solito il papà urlava a più non posso aggrappato al volante, ignaro del fatto che quel tremendo ciclone era in realtà un vortice spazio temporale, e trasportava la macchina su mondi sperduti nell'universo.
Non poteva saperlo perché, stranamente, subito dopo ogni atterraggio cadeva in un sonno profondo, per risvegliarsi quando il tornado ricominciava la sua giostra cosmica.
Benvenuto, nel frattempo, si stava chiedendo dove sarebbero finiti questa volta e manteneva un eroico sangue freddo.
Tuttavia non aveva la certezza di restare illeso a ogni approdo, né che la destinazione fosse sicuramente un luogo amichevole. Comunque, dato che preoccuparsi non serviva a niente, cercava di restare calmo, tanto ci pensava il ciclone ad agitarlo come un frullato!
All'improvviso tutto quel fracasso finì, come se qualcuno avesse spento il volume, e l'automobile cominciò a precipitare velocissima nel silenzio assoluto.
Quello sì che preoccupò molto Benvenuto, il quale si aspettava un devastante impatto al suolo.
Invece non successe niente, l'auto si fermò senza danni, e ancora una volta lui e il papà erano sani e salvi.
Ora vedeva solo verde tutto attorno, ma prima di slacciare la cintura e uscire dalla macchina, verificò che fossero davvero atterrati su qualcosa, quindi tirò giù il finestrino e guardò fuori.
I pneumatici della vettura sprofondavano dentro una morbida, folta e verdissima vegetazione e Ben, rassicurato, scese a terra.
Non lo aveva mai visto un verde così intenso; l'erba, i cespugli, le foglie degli alberi, gli arbusti, tutto era gigantesco e brillava come un forziere colmo di smeraldi.
Anzi, forse gli smeraldi c'erano davvero: dal terreno spuntavano, infatti, qua e là dei magnifici prismi di cristallo, trasparenti, lucidi e verdi come ghiaccioli alla menta.
Anche l'aria profumava di menta; e profumava di more, che facevano l'occhiolino dai cespugli, invitanti e polpose; sapeva di fragole, che dondolavano allegre dalle loro piantine; e... sorpresa, anche di biscotto.
Sì proprio di biscotto, perché da piante che non aveva mai visto, si levava un delizioso profumo di zenzero e di cannella, lo stesso invitante aroma dei superlativi biscotti della nonna.
Poi c'era l'amaro stuzzicante del rabarbaro, e un sognante odore di resina che trasudava dai tronchi, imperlati di gocciole d'ambra che sembravano lacrime d'oro.
Benvenuto continuava a girarsi da tutte le parti, estasiato da ciò che vedeva.
Ancora una volta, come dopo gli altri viaggi tempestosi, pensò che forse era morto, ma se quello era il paradiso, il Creatore ce l'aveva messa proprio tutta per renderlo meraviglioso!
«Hai sete?»
La voce melodiosa proveniva dall'alto. Infatti, graziosamente seduta sopra a un ramo, una fata stava osservando Ben.
Era talmente bella nella sua veste verde bosco trapunta di fiori e i lunghi capelli color del vino, le ali finissime simili a quelle di una farfalla e la carnagione diafana che spiccava tra le foglie dell'albero, talmente affascinante che Benvenuto rimase a guardarla a bocca aperta come un'ebete.
D'altra parte era una fata, e le fate sono belle!


«Mi chiamo Alma» disse, e volò aggraziata giù dal ramo per offrire acqua di rugiada al bambino dal calice di un giglio.
Benvenuto si dissetò, poi tirò fuori il naso sporco di giallo pistillo dal calice e sorrise con la sua bocca un po' sdentata (gli stavano crescendo i dentini nuovi). Si leccò anche le labbra, non aveva mai bevuto un'acqua tanto buona!
«L'aria è purissima qui, e la pioggia che si raccoglie nel grembo delle foglie, tra i petali dei fiori e nei ruscelli è benedetta dal sole. Per questo sembra un nettare al palato ed è carica di vita».
Infatti Benvenuto si sentiva benissimo, anche se un po' strano, e continuava a sorridere come se fosse ubriaco! Era molto buffo e la fata rise divertita mentre gli porgeva una manciata di lamponi.
Quando il bambino li mise in bocca e cominciò a deglutire il dolce asprigno dei piccoli frutti, il suo sorriso si tramutò in singhiozzi di risa, sempre più forti, sempre più divertiti, tanto che si sbrodolò tutto di succo rosso.
«La natura incontaminata è briosa di energia, esplode di bellezza, gronda di felicità. Quando possiamo dissetarci e nutrirci dei suoi doni, restiamo contagiati dalla stessa energia e felicità».
«Ho bevuto acqua magica e mangiato lamponi fatati?»
chiese Ben che non riusciva a smettere di ridere e sputacchiare.
«Sì, e potresti farlo anche nel tuo mondo ma gli umani sporcano l'acqua, intossicano l'aria e avvelenano il cibo; non si rendono conto che se soffre il pianeta, soffrono anche loro! I pianeti sono vivi e respirano insieme alle creature che li abitano».
Benvenuto non riusciva a diventare triste nemmeno a quelle parole così gravi perché aveva nel corpo l'energia del sole e l'allegria dei lamponi. Tuttavia si fermò a riflettere sul contadino Amilcare, che veniva la domenica a casa sua carico di cassette di frutta, verdura, legumi e cereali. Papà e mamma si fidavano dei suoi prodotti, quindi anche i suoi genitori sapevano che il cibo naturale è magico!
In quel momento udì il suono vellutato di un flauto.
Alma si librò in un volo a mezz'aria e fece al bambino un gesto eloquente perché la seguisse.
Ben saltellò dietro la fata nel tentativo di volare anche lui: sul pianeta della fatina Amistad c'era riuscito! Macché, niente da fare, in quel paradiso lussureggiante esisteva la stessa legge di gravità del pianeta terra: o hai le ali per volare o te la fai a piedi!
Comunque, zompettando come un coniglio dietro ad Alma che scivolava leggera nell'aria, e dopo aver attraversato un roseto spettacolare e intensamente profumato, s'imbatté in un'altra fata.
Era minuscola e tutta azzurra, un esserino così piccolo che sarebbe potuto stare nel palmo della sua mano. Teneva tra le mani un uovo altrettanto piccolo ma, date le dimensioni di lei, pareva enorme.


«Dove te ne vai piccola Esrda?» chiese Alma che invece era alta come una donna.
«Puff puff» rispose Esrda evidentemente affaticata dal suo fardello.
«Questo uovo di colibrì è caduto dal nido, devo rimetterlo al suo posto».
«Ti aiuto io!» disse Benvenuto con aria un po' spavalda.
Era l'ometto del gruppo e voleva fare il cavaliere! «Mostrami dov'è il nido» aggiunse, soddisfatto di sé.
«Hem... lassù...». Esdra puntò il suo piccolo indice verso sommità di un albero.
Ben alzò gli occhi sulla chioma di quella grande quercia, tanto alta che non ne vedeva la fine.
«Dove?» chiese scrutando preoccupato la circonferenza del tronco, troppo larga per poterlo abbracciare in una arrampicata.
«Sopra l'ultimo ramo... » rispose la fata con un sorrisetto beffardo.
Benvenuto prese l'uovo dalle mani di Esdra, lo mise delicatamente in tasca e si avvicinò alla quercia per studiare il modo di scalarla. Aveva sempre temuto le grandi altezze ma doveva farcela, oibò, ne andava del suo onore! Così iniziò a salire e filò tutto liscio finché non contravvenne a una legge ferrea per chi teme le vertigini: mai guardare giù.
Sfortunatamente se ne dimenticò a quattro metri di altezza, e appena vide le due fate che lo guardavano trepidanti da terra, gli girò la testa e si spaventò moltissimo.
Non riusciva più né a salire né a scendere, il terrore lo aveva paralizzato.
«Coraggio piccolo, puoi farcela!».
Chi aveva parlato? Quella voce profonda e legnosa sembrava venire dall'albero!


«Chi sei? Dove sei?» chiese Ben girando solo gli occhi perché temeva di perdere l'equilibrio e di cadere, se avesse mosso anche un solo muscolo.
«Sono io, Ippazio la quercia, e mi stai facendo il solletico!»
«Una quercia parlante?» Nonostante i suoi strani incontri Ben riusciva ancora a meravigliarsi.
«A dire il vero so fare cose molto più importanti che parlare! So vivere più a lungo di tutte le creature e sono così bravo in chimica che trasformo l'acqua e la luce nell'ossigeno che respiri».
«Sai anche come devo fare per uscire da questa brutta situazione? Ho una paura matta, ma non dirlo alle ragazze laggiù!» Ben parlava con un filo di voce avvinghiato stretto stretto all'albero.
«Figliolo, quando si vuole salire, non si deve guardare verso il basso ma verso l'alto! Devi pensare solo alla cima che vuoi raggiungere. Come quando cammini e vuoi arrivare a una destinazione, non ci arriverai mai se ti guardi sempre indietro! Inoltre, se giri troppo la testa per vedere cos'hai lasciato, rischi anche di sbatterla da qualche parte!» rispose l'albero aggiungendo una grassa risata.
Rincuorato da quelle parole, Ben riprese a salire e in breve arrivò sull'ultimo ramo, dove mamma colibrì pigolava angosciata per la perdita del suo uovo.
Quando il bimbo lo depositò nel nido, l'uccello intonò un cinguettio di gioiosa gratitudine e strofinò la testina blu contro la guancia del suo eroe.
Anche la discesa non fu un'impresa facile, Ben rischiò più volte di cadere, e un piede messo in fallo strappò un grido di spavento alle fate che lo attendavano ai piedi della quercia.
Ma infine andò tutto bene, la missione era compiuta e lui si sentiva davvero un eroe!
Che sensazione esaltante aver vinto una delle sue più grandi paure! Ora le braccia e le gambe sembravano diventate più forti, come se avesse conquistato qualche super potere.
Mentre piegava l'avambraccio per gonfiare il bicipite, il muscolo della parte alta del suo braccio, e verificare se fosse cresciuto davvero, Esdra e Alma si guardarono e trattennero una risatina.
«Andiamo» disse la fata più alta tendendo l'orecchio al melodioso suono del flauto che non aveva smesso di suonare.
«Ciao Ippazio» disse Ben, e abbracciò l'albero perché provava già nostalgia al pensiero di lasciarlo.
«Buon viaggio» rispose la quercia. «Non posso venire con voi, ma io non ho bisogno di muovermi per viaggiare. Lo fa il vento per me; corre nella foresta, di albero in albero, sussurra e racconta tutto ciò che accade. Lo fanno gli uccellini che cinguettano gli ultimi pettegolezzi di ramo in ramo, e le ondine, bisbigliando le novità all'acqua che disseta le mie radici. Lo fanno gli gnomi che nutrono la terra nella quale cresco, e le fate, quando lucidano le mie foglie cantando gioiose. Insomma, sono sempre informatissimo e in buona compagnia!»
Di nuovo la saggia quercia rise.
Con Alma davanti a mostrare il cammino e Ben dietro a trotterellare con la minuscola Esdra sulla spalla che sembrava un pappagallino azzurro, il piccolo gruppo s'inoltrò nella foresta.