La pozione anti mostro



Massimo non aveva paura di niente. Gli piaceva fare l’eroe, essere un paladino della giustizia e avere un codice d’onore. Era leale con gli amici e manteneva sempre la parola data. Per questo, a sei anni, si era conquistato la fama di bambino coraggioso, il più gagliardo della scuola, anzi del quartiere, ma che dico… dell’intera città!
 Tuttavia, gelosamente custodito perché non voleva confessarlo a nessuno, nascondeva un terribile segreto: qualcosa c’era che lo spaventava molto! Come ogni supereroe che si rispetti anche lui possedeva un punto debole; il suo erano i mostri.
 Massimo non esitava a fronteggiare ragazzi più grandi, come quando gli capitò di pestare un occhio al grosso bullo della scuola che da mesi importunava un bambino fragile e timido.

Da quel giorno il bulletto non aveva più dato fastidio a nessuno e, se incontrava Massimo, cambiava strada. Il bambino timido era corso a casa felice e aveva raccontato tutto alla mamma. La donna, commossa, si era subito messa al lavoro per cucinare la migliore torta della sua vita. Una delizia di crema, panna e frutta alternate a fragranti dischi di pasta frolla, e in cima persino un trofeo di cioccolato fondente! Poi si era presentata a casa del piccolo eroe e gli aveva offerto la torta come segno di gratitudine.
 Dovete sapere che le cose non vanno sempre in questo modo, e non sempre le buone azioni ricevono compensi, o meglio, ricompense visibili e immediate. Non bisogna curarsene se accade, ma questa è un’altra storia, e un giorno ve la racconterò.

 Dicevamo che il nostro protagonista era proprio coraggioso: alle partite di calcio si buttava nella mischia per conquistare il pallone, non piangeva mai se prendeva gomitate nello stomaco, e non si lasciava sfuggire nemmeno un lamento davanti al dottore dell’ospedale che gli ricuciva, e capitava spesso, le ferite.

Tuttavia… tuttavia quei mostri che lo inseguivano la notte, brrr… che paura gli facevano! Proprio così, le brutte creature che popolavano i suoi sogni erano l’unica paura di Massimo. E, pur di terrorizzarlo per bene, cambiavano persino forma! A volte era un essere gigante a corrergli dietro, con dita lunghe e scheletriche come rami di un albero; altre volte era una figura tutta nera che scivolava malefica alle sue spalle, sempre sul punto di acchiapparlo.
Oppure il mostro di turno assumeva le sembianze di un nanerottolo deforme che sputacchiava liquidi verdastri mentre lo rincorreva nei corridoi di qualche strano luogo, o le fattezze di una belva feroce armata di artigli, intenzionata a papparselo in solo boccone!
Insomma, uno più orrido e più cattivo dell’altro, ma per fortuna il bimbo riusciva sempre a svegliarsi un attimo prima di fare qualche brutta fine.



 Un giorno sedeva pensieroso a consumare la merenda nel giardino della scuola, quando sentì un suono di campanello. Din din… si girò e vide una minuscola fata che gli svolazzava vicino all’orecchio sinistro.
 Che sorpresa, quasi saltò giù dalla panchina! La creatura atterrò sulla sua spalla, e con molta confidenza imitò la posizione del bimbo: ginocchia al petto e faccia sprofondata tra le piccole mani, come a rimuginare su qualcosa, proprio come stava facendo Massimo. Si burlava forse di lui?
 Il bambino voleva guardarla, ma doveva girare tutta la testa per vedere la fata, e temeva che se avesse fatto qualche brusco movimento lei sarebbe scomparsa. Non si sa mai cosa passa per la mente di questi esseri fatati!
 «Sono qui per aiutarti» disse lei con voce melodiosa e sottile. Le fate amano due cose, sopra tutte le altre: coltivare fiori e aiutare i bambini, questi ultimi perché devono essere curati proprio come fiori, che sono la loro specialità.

 Massimo non aveva mai udito una voce così dolce, e gli fece un gran solletico. «Che tipo di aiuto?» chiese infilandosi un dito nell’orecchio per grattarlo.
 «Vincere la paura dei mostri. Posso insegnarti a preparare una pozione capace di annientarli!»   «Wow!» esclamò Massimo, che a quelle parole si voltò dando uno scossone alla fata seduta sulla sua spalla sinistra. Tuttavia, dato che notoriamente le fate volano, lei non cadde, gli si posò invece graziosamente sul palmo di una mano, quella che non reggeva la merenda.
Il bimbo poté finalmente vedere bene la creatura e non più soltanto sbirciarla con la coda dell’occhio. Rimase a bocca aperta, con il boccone di panino ancora da deglutire e le labbra ricoperte di briciole. Quanto era bella! Aveva la pelle diafana e rilucente come madreperla, indossava un vestitino fatto d’impalpabili veli celesti, e mentre sbatteva le ali, anch’esse delicate e azzurre, sprizzava nell’aria stelline luminose.

 «Mi chiamo Sosinia» disse sventolando vanitosa le lunghe ciglia, perché aveva letto nella mente di Massimo i suoi pensieri di apprezzamento.
 «Non startene lì come un salame, su su, che dobbiamo darci da fare!» continuò poi cambiando tono. «Prendi la boccetta e cominciamo a riempirla con tutti gli ingredienti».
 «Qui, adesso? E dove la trovo una boccetta?» chiese Massimo un po’ confuso.
 «Ma certo, qui e adesso! Non sai immaginare una boccetta? E assicurati che abbia la pompetta a spruzzo come quella dei profumi». 
«La devo solo immaginare?» Massimo continuava a non capire.
 «Certo che la devi immaginare! Se la immagini poi esiste. Anche i tuoi mostri sono immaginari, eppure ti fanno una gran paura, e ti svegli con una tremarella proprio reale, no?»

 Il bambino convenne che Sosinia aveva ragione, così immaginò di tenere tra le mani una boccetta di vetro tonda e dorata, come quella del profumo che il papà aveva regalato alla mamma per Natale. «Oro, il mio colore preferito… Bravo, è perfetta, ora svita il tappo e comincia a metterci dentro quello che ti dico».

 Massimo non poteva vedere l’oggetto, ma la fata, essendo magica, ovviamente sì. «Prima cosa: una risata, i mostri detestano che gli si rida in faccia!»
 «Come la infilo qui dentro una risata?» chiese il bambino guardando la sua mano destra vuota, a mezz’aria e dischiusa come se reggesse qualcosa, e quasi gli sembrava di sentire il contatto del vetro liscio contro i polpastrelli.
 «Porta il flaconcino alla bocca e ridici dentro, è facile!»
 Massimo si guardò intorno, se qualcuno lo avesse visto fare quelle cose lo avrebbe preso per matto. Decise di obbedire alla fata senza più discutere, quindi soffiò una risata nella boccetta immaginaria. «Bene, ora tanta luce abbagliante, i mostri non possono vivere alla luce».
 Massimo visualizzò un raggio di sole luminosissimo che entrava nel flacone.
«Adesso infilaci due abbracci e tre baci. Queste cose li fanno scappare a gambe levate, i mostri!» Facile ingrediente; al bambino bastò ricordare gli abbracci gioiosi e i baci con lo schiocco che gli dava sempre la zia.
 «Dunque, vediamo un po’, cosa manca? Ah sì, uno sberleffo. Le burle li fanno rimpicciolire».
 Altro ingrediente facile, nessuno sapeva fare gli sberleffi meglio di lui!
 «Ora due orecchie da topolino e un naso da porcello: servono a farli diventare mostriciattoli minuscoli e divertenti!»
 Il bambino possedeva quegli oggetti da travestimento per il carnevale, e ancora una volta gli fu facile immaginarli e mescolarli a tutto il resto.
 «Ora il colpo mortale: un pizzico d’amore. È il più potente fra tutti gli ingredienti, ne basta giusto un pochino».
 Quello proprio non sapeva come metterlo nella pozione e non era necessario fare domande, bastò la sua espressione interdetta a dire alla fata che si trovava in difficoltà.
«Immagina la persona che ami di più al mondo e l’amore che provi per lei, poi prendi un pochetto di quel bene e mettilo nel flacone» spiegò Sosinia con un sorriso tenero tenero.
Non era difficile in effetti, perché Massimo immaginò la sua mamma, e alla fine ebbe il timore di avercene messo anche troppo di amore nel miscuglio, perché l’amore per la mamma era troppo grande per riuscire a dosarlo!

 «Fantastico! Tappa bene il contenitore e agita tre volte, è fatta!» La fata volteggiò nell’aria diffondendo stelline colorate ancora più luminose: era il suo modo di manifestare la felicità.
 «Ora vai, e usala senza riserve; è una mistura magica, quindi è inesauribile, durerà per sempre. Ricorda però una cosa: i mostri si nutrono di paura, è il loro richiamo e il loro cibo. Senza la paura non esisterebbero nemmeno». 
Svolazzò un’ultima volta davanti al piccolo amico e poi scomparve.



 Massimo aspettò a lungo l’arrivo dei mostri nei suoi sogni. Per la prima volta quasi si augurava di incontrarli, perché voleva sperimentare la pozione magica. Però chissà, forse nel mondo dei mostri si era sparsa la voce che possedeva un antidoto, e forse bastava quella notizia a tenerli lontani!

Finché una notte uno di loro osò presentarsi, orribile e cattivo come non mai. Tutto verde e con gli occhi gialli, sembrava l’incrocio tra un drago, un diavolo e un coccodrillo, e sputava fuoco da una bocca che aveva quattro fila di denti aguzzi. Come da copione cominciò a inseguire il bambino, ma quella volta Massimo non se la diede a gambe terrorizzato; corse via aspettando solo il momento giusto per voltarsi e spruzzare la magia addosso all’infernale apparizione. Aveva un po’ di paura, naturalmente, quello era uno dei peggiori mostri che avesse mai visto!

 Quando la creatura fu sul punto di raggiungerlo, fece appello a tutto il suo coraggio e si voltò: poff poff poff, tre spruzzi in pieno muso! Pochi istanti dopo l’essere iniziò a rimpicciolire, poi gli crebbero le orecchie da topo e il suo naso diventò schiacciato e rosa come quello di un maialino.
 Una volta ridotto in quello stato, le risate e gli sberleffi lo colmarono d’imbarazzo e di vergogna, gli abbracci e i baci lo spaventarono a morte, ma ciò che lo indusse infine a scappare fu quel profumo d’amore che per lui non era affatto un profumo, bensì un olezzo insopportabile!

 La magica pozione aveva funzionato! Massimo rideva a crepapelle mentre il mostro, oramai più che altro un mostriciattolo ridicolo, se la dava a gambe gemendo di terrore, col sedere spelacchiato e fumante bruciato dal raggio di sole.

 Quando si svegliò rideva ancora, e nel bagliore delle prime luci del mattino che filtravano dalle persiane chiuse, intravide la fata celeste. Svolazzava e rideva insieme al bimbo con gorgheggi tintinnanti come campanelli d’argento.