Nella prima puntata avevamo visto Ben incontrare lo Gnomo Bellissimo. Potete rileggerla a questo link oppure scorrere velocemente il seguente riassunto.
(Riassunto puntata 1)
Tutto era iniziato in un fresco pomeriggio di marzo, quando Alfredo, il papà del piccolo Ben, aveva deciso di comprare per il figlio un nuovo libro di favole. Sembrava un giorno come tanti, a parte l'eccitazione del bambino che non vedeva l'ora di accompagnare il padre per ricevere il regalo e tuffarsi in una nuova, appassionante lettura. L'automobile si era accesa gracchiando come sempre, e come sempre la mamma aveva salutato Alfredo e Ben dalla finestra, con addosso il grembiule da cucina e un mestolo in mano: stava preparando una delle sue solite, magnifiche crostate.
Invece non si trattava affatto di un giorno come gli altri: durante il viaggio, padre e figlio erano stati sorpresi da un uragano violentissimo che li aveva risucchiati e poi sputati sopra una terra magica e sconosciuta.
Mentre il papà dormiva, colto da un profondo e inspiegabile sonno, Ben era andato in cerca di aiuto, tutto solo in quel luogo bizzarro, popolato da creature sorprendenti... Infine, grazie all'aiuto di nuovi amici, tra cui gli gnomi, Ben era riuscito a entrare dentro un tunnel spazio-temporale e a raggiungere il suo mondo, ma uscendo dal tunnel si era ritrovato dentro la macchina, che ancora girava vorticosamente al centro dell'uragano.
«Reggiti forte figliolo!» gridò il papà di nuovo sveglio, mentre l'auto veniva scagliata in aria a forte velocità, in quel cielo così rosso che pareva incendiato.
Dopo una serie di piroette e saliscendi, degni della più spericolata delle montagne russe, l'auto si schiantò al suolo in un fragore tremendo. Con il cuore in gola per lo spavento, Ben slacciò la cintura di sicurezza e si arrampicò per andare sul sedile anteriore, di fianco al papà, che grazie al cielo stava bene. Lo trovò addormentato come nella precedente avventura e con il medesimo sorriso sul volto. Allora prese a calci la portiera, che a causa della gran botta si era incastrata, e fece anche un salto acrobatico per scendere, perché la macchina era caduta in piedi, come un siluro.
Atterrò su di un soffice prato, ma era tutto buio, vedeva a malapena le sagome degli alberi. Come mai era scesa la sera tanto in fretta?
S'incamminò nella penombra, passo dopo passo, fermandosi a ogni più piccolo rumore, guardingo come un gatto. Avrebbe voluto avere accanto il padre in quel momento e non trovarsi tutto solo nelle tenebre, di nuovo alla ricerca di qualcuno che potesse aiutarlo.
Patapum! All'improvviso il suolo sotto ai suoi piedi venne a mancare: era finito in un precipizio e stava rotolando giù come un sasso.
«Ti sei fatto male?» una vocina sottile e dolce spuntò dall'oscurità.
«Dove sei? Non riesco a vederti» disse Ben mentre tentava di rialzarsi.
«Sono qui» rispose la vocetta, che ora sembrava più vicina e un po' piagnucolosa.
Allora Ben provò a scrutare nel buio e intravide una figurina piccola piccola: gli arrivava sì e no alle ginocchia. Era come una bambina in miniatura, ma con le orecchie a punta e due alucce trasparenti come ali di libellula.
«Tu chi sei?» chiese la creatura.
«Io sono un bambino, e tu?»
«Non lo so» rispose lei, e cominciò a piangere sommessamente.
«Non lo sai?» Ben era interdetto, oltre che intenerito da quel pianto.
«Non lo so! Non so più chi sono, l'ho dimenticato! Puoi aiutarmi?»
«C'è molto buio» rispose il bambino. «Tuttavia direi che sembri... una fata!»
«Ah già è vero! Sono una fata!» esclamò l'esserino.
«Aspetta» disse Ben che si era ricordato in quel momento di avere con sé il corredo da esploratore tascabile, il quale comprendeva una bussola per orientarsi, una lente d'ingrandimento per osservare gli insetti e accendere il fuoco (ebbene sì, per accendere un fuoco basta un raggio di sole e qualche foglia secca...), un coltellino multiuso, e una piccola, provvidenziale torcia. Quindi l'accese per guardare bene la fata.
«Non c'è dubbio, sei proprio una fata. E come sei carina!»
Non poté trattenere quell'esclamazione. Era davvero deliziosa, tutta verde come uno smeraldo, il viso dolcissimo e quelle ali talmente delicate da sembrare di cristallo. Inoltre luccicava, perché a ogni movimento diffondeva nell'aria una polverina dorata.
«Grazie». La fata sbatté gli occhioni timida e vanitosa al tempo stesso. Poi gridò squillante: «Magia!»
«Cosa?» chiese Ben che aveva fatto un salto per il grido inatteso.
«La luce!» disse lei.
«Ma no, è solo una torcia. Un piccolo congegno che serve per vedere al buio».
«Voglio dire che "io" so fare la magia della luce! Me ne sono ricordata grazie a te».
Wow! E sai fare anche il buio?» chiese Ben, oltremisura affascinato dalle questioni magiche.
«Non c'è bisogno di fare una cosa che non esiste, basta spegnere la luce!»
«Vuoi dire che non esiste il buio? Ma era buio un attimo prima che io accendessi la torcia!»
«Sì era buio, ma solo perché mancava la luce» rispose la fatina.
«La luce si può misurare: è fioca, brillante, intensa o abbagliante. Puoi forse, al contrario, misurare il buio? Non puoi, perché si tratta solo di luce che non c'è, o meglio, di luce al minimo possibile».
Ben si grattò la testa pensieroso. In effetti, quello che diceva la fata era proprio sensato.
«Guarda» riprese lei. «Una piccola luce annienta oscurità immense. È potentissima. Il buio, al contrario, non può mica spegnerla la luce!»
«E da dove viene? Chi l'ha inventata?» chiese il bambino.
«Il Creatore di tutte le cose, chi altri? Lui crea solo cose potentissime!» la fata lo disse con un bisbiglio, come un segreto rivelato.
«Questo tizio ha creato tutto, ma proprio tutto?»
Nella mente di Ben cominciavano a ribollire milioni di domande.
«Sì, tutto!» La creatura chiuse gli occhi e alzò le sopracciglia per assumere un'aria solenne e dare più vigore alla sua affermazione.
«Ma... allora non ha fatto solo cose buone. Ha inventato anche la malvagità! Era proprio cattivo il ladro che rubò la borsetta alla mia mamma l'anno scorso! Lei è una persona buona e generosa, non si meritava una cosa simile».
«No no, la cattiveria, non esiste. Il Creatore ha inventato solo l'amore. Il male è amore che non c'è!».
La fata guardò il cielo stellato, poi socchiuse gli occhi e respirò profondamente l'aria fresca della notte; era felice perché quando parlava dell'amore si sentiva parte di tutto l'universo.
«Un soffio d'amore asciuga le lacrime e fa spuntare il sorriso, scalda il cuore e scaccia la solitudine. Un pizzico d'amore guarisce tonnellate di dolore, cancella i pensieri tristi e porta allegria, scardina serrature arrugginite da secoli di rancore. Un cucchiaino d'amore basta a illuminare il buio del male più sconfinato. Ed è contagioso! Corre veloce come la luce, e come la luce si comporta».
Ben ascoltava rapito, ma faticava a comprendere.
«Non ha inventato nemmeno la malattia del mio vicino di casa? È così piccolo... soffre tanto e i suoi genitori piangono sempre!»
«No, non ha inventato la malattia. Esiste solo la salute, che qualche volta si affievolisce, come una luce che diventa più debole. E come arriva il buio quando la luce si nasconde, così arriva la morte quando si spegne la salute. Tuttavia la luce esiste ancora, ed è la stessa cosa per chi muore: esiste ancora, però altrove». «Davvero?» chiese Ben con ammirazione per tutte le cose che sapeva la fatina.
«Nel vostro mondo» continuò lei «per capire o misurare qualunque cosa, avete bisogno del suo contrario. Per esempio: come fai a sapere che il caldo esiste e come fai a misurarlo se non hai mai sentito freddo?»
«Forse ho capito!» esultò Ben.
«Il Creatore ha inventato solo cose buone, perché lui è luce, amore, salute, calore» concluse la fatina. «Ooooh!» i polmoni di Benvenuto soffiarono fuori un'espressione di profondo stupore.
Quella visione della realtà cambiava tutto, ed era così confortante e bella che sentì il petto accendersi improvvisamente di una fiamma strana e meravigliosa.
«Magia!» gridò nuovamente la fatina.
«Quale, adesso?» chiese Ben euforico.
«Il tuo cuore, si è acceso! Mi sono ricordata che so leggere dentro ai cuori!»
«Che bella magia è questa!» disse il bambino con una gioia incontenibile.
«Puoi farlo anche tu, è facile!»
«E come?» ora Ben aveva gli occhi sgranati.
«Basta leggere dentro alle persone! A proposito, che libro di favole vuoi comprare?»
«Come fai a sapere che voglio comprare un libro di favole?»
«Magia! Mi sono appena ricordata che so leggere anche il pensiero!» rispose la fata con un largo e buffo sorriso che scoprì la sua fila di dentini bianchi come perle.
«Wow! È così che mi hai letto nel cuore e nella mente?» chiese Ben affascinato, stupito, felicissimo, esaltato e altre mille emozioni tutte insieme che non avrebbe saputo descrivere.
«Sì, è così».
La fatina si era avvicinata a Ben e aveva cominciato a sbattere velocemente le ali, generando una luce bellissima e dorata.
«Spegni la torcia, non ce n'è più bisogno» aggiunse, e si librò nell'aria, brillante come una gigantesca lucciola. «Aspettami!» gridò Ben. «Io non so volare, non sono una fata, sono umano!»
«E dici poco? Siete esseri molto potenti, ma non lo sapete. Voi usate meno di un millesimo delle vostre reali capacità!» La fata parlava svolazzando davanti al bambino, mentre sprizzava scintille e pulviscolo d'oro.
«Qui sei nel regno della magia, dove tutto è possibile, pensalo, credici, e volerai» aggiunse.
Ben si fidava della piccola amica, inoltre lo aveva sempre pensato di essere un mago, quindi si concentrò sul volo, immaginò di sollevarsi leggero come una piuma e hop... si alzò da terra e... galleggiò nell'aria senza peso. Che sensazione fantastica!
«Magia! Stai volando!» esclamò l'esserino fatato per l'ennesima volta, e la sua risata cristallina echeggiò nella notte.
«Dove andiamo?» chiese il bambino, facendo una capriola non voluta che lo mandò quasi a sbattere contro un albero: non aveva ancora dimestichezza con il potere del volo.
«Non lo so» ammise la fatina. «Forse a cercare qualcuno che sappia aggiustare la tua automobile?»
Poi aggiunse felice «Magia! Mi sono ricordata che ho la vista telescopica! Vedo la tua macchina piantata in verticale come un siluro e tutta malconcia!»
Partirono alla ricerca di aiuto la fatina, leggera e aggraziata che da guardare era una delizia, e Benvenuto dietro, affatto elegante, che ondeggiava evitando pericolosamente gli alberi per un soffio; ma insomma, non se la cavava niente male per essere al suo primo volo...
Boom!
Come non detto. Questa volta andò a sbattere davvero contro qualcosa, o meglio qualcuno, sbucato all'improvviso da un cespuglio, e cadde a terra.
Quando alzò gli occhi ebbe un grande spavento. Un orco gigantesco incombeva su di lui e non aveva per niente un'aria amichevole. Anzi, a dirla tutta stava digrignando i denti gialli; gialli e minacciosi come gli occhi, che sembravano quelli di un felino.
«Aiuto!» gridò Ben.
La fata accorse al grido del suo piccolo amico e si parò davanti all'orco, con le mani sui fianchi e una smorfia di disapprovazione sul volto.
«Beh? Si spaventano in questo modo le persone? Vergogna!» disse puntando il ditino contro il gigante.
«Puoi fare un sacco di cose, e buone, tanto per cambiare! Guarda lì che muscoli! Ti affido subito una buona azione se vieni con noi».
«Un orco che fa una buona azione? Ma dico, sei impazzita? Che fine farebbe la mia reputazione di orco cattivo?» rispose il gigantesco essere.
«Pensa...» disse la fata, mentre con la mano faceva un gesto ampio, come se volesse mostrare lo schermo di un cinema immaginario. «Pensa che tutta la gente, invece di scappare terrorizzata al tuo passaggio, ti acclamerebbe come un eroe. Anzi, un supereroe, con lo straordinario potere della forza! Saresti portato in trionfo!»
«Sono orrendo, scapperebbero tutti ugualmente!»
L'orco rispondeva girando la testa da tutte le parti per guardare la fata che gli svolazzava intorno, e nonostante l'espressione da ebete e le braccia a penzoloni, uno strano guizzò lampeggiava nei suoi occhi: aveva voglia di acchiapparla e mangiarsela!
«No, vedrebbero solo la bellezza del tuo cuore» disse lei che, notando quel guizzo assassino, si era allontanata per prudenza.
«Sono cattivo» obbiettò ancora l'orco.
«No, non lo sei, hai solo dimenticato che puoi essere buono».
La fatina, come ogni femmina, possedeva l'arte raffinata della persuasione, che è molto più forte dei muscoli. E al gigante passò la voglia di mangiarla.
«Potresti sempre mettere una maschera per nascondere il viso, come fanno i supereroi!» disse Ben, il quale stava tentando di spiccare nuovamente il volo, ma subito dopo avrebbe avrebbe voluto rimangiarsi quelle parole perché gli sembrarono offensive.
La fata si girò verso di lui e ridacchiò silenziosa per non farsi vedere dall'orco.
Ma Rescatado - questo era il nome del gigante - non si offese, al contrario prese l'idea di Ben per il verso giusto e disse: «Posso avere anche un mantello?»
Poi abbassò la voce e si chinò per avvicinare la bocca all'orecchio dei due nuovi amici.
«Che resti fra di noi, ma io ho sempre sognato di diventare un supereroe!»
La fata e Ben dovettero fare un grande sforzo a quel punto per non ridere; invece il bestione, con un senso di autoironia davvero inatteso, scoppiò in una risata tanto fragorosa da far tremare la terra.
«Bene, seguitemi!» ordinò la fata e svolazzò luminosa per fare strada al gruppo.
In un baleno arrivarono al luogo del disastro, dove la macchina di Ben era piantata a testa in su con dentro il padre addormentato. L'orco la sollevò come fosse stata un ramoscello e la rimise sulle quattro ruote.
«È proprio malridotta, chissà se funziona ancora?» disse Ben.
«Magia!» esclamò ancora una volta la fatina.
«Mi sono appena ricordata che so aggiustare le cose!»
E in men che non si dica, grazie alle sue arti magiche, fece tornare l'auto come nuova, persino meglio di come era prima che l'uragano la sbatacchiasse su e giù tra cielo e terra.
«Perfetto!» disse l'orco. «Qui ho finito, vado a scuoiare una pecora per farmi il mantello!»
«Nooo!» gridarono la fata e Ben insieme.
«Hai già dimenticato che ora sei un eroe? Gli eroi non vanno in giro a scuoiare animali innocenti!» continuò la fata. «Vai da maga Tejedora. Tesserà un mantello su misura per te».
«Ah già, è vero, adesso sono buono! Humm... però... Tejedora mi trasformerà in rospo non appena mi avvicinerò alla sua casa. Mangiai il suo gatto nero lo scorso Natale. Insomma, avevo fame!»
L'orco ammise quella colpa con un sorriso da mascalzone pentito.
«Oh, benedetto ragazzo!» sospirò la fata alzando gli occhi al cielo.
«Dille che hai scelto di essere buono, ti perdonerà».
«Va bene» rispose l'orco grattandosi il testone pelato. «Credo che me lo farò fare verde il mantello, dovrebbe intonarsi con la mia pelle gialla!» aggiunse, e se ne andò canticchiando felice.
«Ciao e grazie» disse Ben, che mentre lo guardava allontanarsi considerò come, in fondo, non lo vedesse più tanto brutto. Anche senza una maschera.
Era il momento dei saluti, doveva dire addio alla fata.
«Grazie di tutto» disse lei, che parlò per prima e tirò su col naso perché era commossa.
«Grazie per cosa? Non ho fatto niente, io, per te».
«Non è così amico mio, hai fatto moltissimo invece! Mi hai aiutata a ricordare chi sono e quante cose meravigliose so fare!»
«E tu hai aiutato me affinché potessi tornare a casa!» ora anche Ben tirava su col naso, perché l'idea di separarsi dalla fatina lo rendeva triste e aveva voglia di piangere.
«Questa è l'amicizia, bambino. Fare un po' di strada insieme, a volte breve, a volte lunga, e aiutarsi l'un l'altro. In compagnia il viaggio diventa molto più facile e interessante».
Ben l'abbracciò, ed era talmente leggera che gli parve di abbracciare l'aria, ma sentì fortissimo il calore del suo cuore.
«A proposito...» chiese Ben. «Tu come ti chiami?»
«Amistad» rispose la fata, appoggiando con tenerezza la sua testina sulla spalla del bimbo.
«Amistad, tu sai qual è la cosa più preziosa dell'universo?» chiese ancora Ben, girandosi un'ultima volta verso di lei. La domanda gli ronzava nella testa dalla prima avventura.
«Humm... forse la memoria di chi siamo realmente?» La fata disse così perché era quella per lei la cosa più importante.
Ogni essere che Ben incontrava dava una risposta diversa.
Qual era la verità assoluta? E ne esisteva davvero una sola?
Appena il bambino salì sull'auto e chiuse la portiera, tutto cambiò. D'improvviso era di nuovo dentro l'uragano, nel turbine dell'aria impazzita, scarlatta come sangue.
Il padre si era svegliato e gridava: «Hai la cintura allacciata figliolo? Tieniti forte, passerà presto!»
«Sì papà!» gridò Ben a sua volta, mentre si chiedeva se davvero quel finimondo sarebbe finito presto. Cominciava anche ad avere fame. E pensava alla crostata della mamma che li aspettava al ritorno.