C'era una volta un bambino povero. Si chiamava Leone e non
era affatto contento di essere povero. Bella scoperta, direte voi! Piano, una
cosa alla volta: è necessario che prima vi racconti la sua idea di povertà, perché
ciascuno intende le cose a proprio modo, e per molti bimbi della terra quella
parola significa – ad esempio – patire
la fame. Secondo Leone, invece, povertà era l'ansia della mamma quando non
aveva abbastanza soldi per fare la spesa, e capitava che alla cassa dei supermercati
si trovasse nell'imbarazzo di dover scegliere quale prodotto rimettere sullo
scaffale, cioè a quale cosa avrebbe potuto rinunciare la famiglia quella settimana.
Era povertà il doppio lavoro di suo padre, che tornava a casa sempre troppo
stanco per giocare con lui e i fratellini, e non aveva nemmeno la forza di
ascoltare il loro chiasso. Povertà erano i vestiti usati che gli passavano i
fratelli maggiori, era la sua scatola da sei pennarelli, così misera davanti
alla favolosa confezione di latta da cinquanta colori del compagno di banco. E
gli zaini degli altri ragazzi sempre nuovi ogni anno, tanto sgargianti da far
sembrare orrenda la sua vecchia sacca di tela. Anche le avventure delle vacanze
al mare che raccontavano gli amici a settembre, mentre lui non era mai stato in
vacanza.
Insomma, erano un sacco di cose che non poteva avere. Ma il
Natale... il Natale sì che faceva sentire Leone davvero povero! Nelle settimane
precedenti alle feste non sentiva parlare d'altro che di regali dai suoi
compagni, e non sembravano nemmeno emozionati –
nonostante descrivessero giocattoli meravigliosi – perché erano
sicuri che li avrebbero ricevuti. Lui no. Non riceveva mai quello che
desiderava! Perché gli era toccata la sfortuna di nascere povero?
Un pomeriggio d'inverno – mancavano
due giorni al giorno di Natale – Leone tornava dal negozio
del quartiere con una busta della spesa. La mamma gli aveva commissionato latte
e biscotti, una confezione risparmio da cinquecento grammi, non quelli al
cioccolato che a lui piacevano tanto. Lungo la strada si lasciò cadere seduto
su una panchina, tutto ricurvo come un sacco vuoto; non gli andava di tornare
subito a casa. Una pozzanghera lì accanto rifletteva il suo volto triste, e
mentre si specchiava nell'acqua, parlava a se stesso: «Sei proprio sfortunato!»
E più diceva quelle cose più si sentiva triste, più si sentiva triste più gli
sembravano vere quelle parole. All'improvviso, un altro volto apparve riflesso
nell'acqua accanto al suo: il volto barbuto di un vecchio che non aveva né
visto né sentito arrivare. Tantomeno sedersi su quella panchina!
Leone sussultò alle parole dell'uomo. Distolse lo sguardo
dalla pozza e guardò l'anziano signore negli occhi.
«Sono triste per un motivo serio» rispose.
«Quale sarebbe?» chiese il misterioso interlocutore.
«Io e la mia famiglia passeremo il solito Natale senza doni
e senza cose speciali da mangiare. Siamo poveri».
«Uhm» mugugnò il vecchio grattandosi la barba bianca.
Due operai stavano passando nelle vicinanze e trasportavano insieme
uno specchio antico molto grande, a piccoli passi per non scivolare sul terreno
umido.
«Gentili signori, potreste farci un grandissimo piacere?» Il
vecchio si alzò in piedi nel rivolgere la parola ai due, che si fermarono e
posarono a terra il pesante oggetto.
«Ecco grazie, tenetelo fermo così» disse l'uomo soddisfatto
mentre faceva alzare Leone dalla panchina e lo spingeva gentilmente davanti
allo specchio. «Qui puoi vederti meglio. Coraggio, dimmi cosa vedi».
«La mia faccia triste, e i calzoni di mio fratello maggiore
che oramai sono corti anche per me!»
«Bene» ribatté il barbuto signore mentre aggiustava la
posizione del bambino davanti alla specchiera. «Vedi tristezza perché la
superficie riflettente di questo oggetto te la rimanda tale e quale. Ora prova
a sorridere».
Leone si girò a guardare lo strano personaggio con aria
interrogativa, ma poi obbedì, si voltò di nuovo verso lo specchio e fece un
ghigno, come quando si sorride controvoglia.
«Spero che tu sappia fare di meglio!» Disse il vecchio aggrottando
le sopracciglia candide e folte. Ma il suo cipiglio sembrava ironico.
«Ehi, noi stiamo lavorando, se avete voglia di giocare...» L'operaio
non poté finire la frase perché il compagno gli allungò un calcio, e gli fece
anche un gesto eloquente perché si togliesse il berretto, in segno di reverenza
verso l'anziano. A dire il vero quel tipo alto e barbuto, dai modi risoluti e
regali, suscitava uno spontaneo rispetto. Doveva essere così per forza se aveva
convinto facilmente due operai a interrompere il lavoro e reggere uno specchio,
immobili nel freddo polare di quel giorno, senza che nemmeno sapessero perché
lo stavano facendo!
«Oh ecco, questo sì che è un sorriso! Quindi adesso cosa
vedi?»
«Beh, vedo me che sorrido!»
«Coraggio, guarda meglio, dimmi di più». Il vecchio roteò il
palmo di una mano nell'aria, come un direttore d'orchestra che invita i
musicisti ad alzare il volume del suono.
Leone rimase in silenzio qualche minuto a osservare se
stesso nello specchio, mentre il suo sorriso diventava sempre più largo e
spontaneo. «Vedo un bambino felice» disse infine.
«Esatto, vedi un bambino felice, mentre poco fa vedevi un
bambino triste. Ma chi ha dato allo specchio un'immagine triste e poi
un'immagine felice?»
«Eh?» Esclamò l'operaio che prima aveva fretta, grattandosi
la testa confuso. Prese un altro calcio dal collega, il quale ammiccò verso il
vecchio come per dire: «sta zitto e ascolta!»
«Sono stato io a dare le immagini a questo specchio» rispose
Leone, che nel frattempo era passato dal sorriso al riso per la comica scenetta
degli operai.
«Esatto, sei stato tu!» Il vecchio scandì le parole e
assunse un'aria solenne. «Ti svelo un grande segreto, ascoltami bene. La vita è
come uno specchio: riflette quello che le mostri. Quando sei triste lanci nel
mondo immagini di scontento e infelicità, e allora vedrai soltanto quelle
intorno a te, perché lo specchio della vita potrà riflettere solo il tuo
scontento e la tua infelicità. Se invece manderai immagini di gioia, come stai
facendo adesso, lo specchio, obbediente, rifletterà la gioia. L'esistenza sarà
gioiosa! Solo tu hai questo potere sulla tua vita, tu e nessun altro! Sei un
potente creatore, di bellezza o di bruttezza, di felicità o disperazione. Puoi
scegliere».
Leone non era sicuro d'aver capito tutto, ma di una cosa era
certo: continuava a sorridere e provava gioia! Anzi, aveva proprio voglia di
ridere, perché gli operai stavano facendo anche loro qualche prova, chinati sullo
specchio per guardarsi mentre sorridevano a trentadue denti! Erano davvero buffi!
E rideva anche il misterioso vecchio. E anche una coppia di sposi a passeggio;
i coniugi non sapevano perché, ma vedere gli altri ridere li faceva divertire e
ridere a loro volta. Poi passò il droghiere, che nel frattempo aveva chiuso la
bottega; tutta quella gente allegra lo mise di buon umore e camminò a passo svelto
verso casa con aria pacioccona e felice. Adesso l'emozione di Leone era al
culmine perché accadeva qualcosa di stupefacente: tutto il mondo attorno a lui
era cambiato davvero! Ed era successo perché aveva cominciato a sorridere!
«Appunto volevo proprio...» L'operaio – il solito curioso dei due – stava
per dire che voleva fare la stessa domanda, ma si fermò per l'occhiataccia del
collega; occhiataccia che in verità non aveva visto, ma era sicuro di averla
ricevuta!
«Mio caro bambino» rispose il saggio. «È una delle prodigiose,
magiche leggi della vita. Ce ne sono tante, una più magica dell'altra...»
Ecco, lo sapeva: c'era di mezzo la magia! Leone si
accontentò della risposta ricevuta dal vecchio, certo che non fosse possibile
spiegare davvero le faccende magiche. O forse invece era possibile? Ma già nel
cielo scuro apparivano le prime stelle, si era fatto tardi, doveva tornare a
casa. Abbracciò il vecchio e ringraziò gli operai, che salutarono sventolando i
berretti, gioiosi come non si erano mai sentiti in vita loro. I due uomini poi sollevarono
lo specchio e, dopo una specie d'inchino rivolto al saggio barbuto, si rimisero
in marcia, grati perché aveva insegnato anche a loro tale grande segreto.
Leone entrò in casa con ancora un bel sorriso stampato sul
volto. La mamma guardò il ragazzino stupita, ma contenta di vederlo finalmente
allegro, quel figlio musone!
«Cosa ti è successo?» gli chiese mentre toglieva le mani dal
lavello pieno di sapone e piatti da lavare.
«Ho imparato una cosa fantastica oggi, mamma! La voglio
insegnare anche a voi».
Il bambino prese per mano suo fratello minore e lo portò con
sé nella camera dei due fratelli maggiori.
«Ho un'idea!» esclamò rivolto a tutti. «Facciamo una piccola
commedia la notte di Natale! Mamma e papà lavorano tanto per noi, meritano un
regalo specialissimo».
I tre fratelli ci pensarono un po' su, poi risposero che sì,
era proprio una bella trovata! Si divisero i compiti: il maggiore avrebbe
costruito un teatrino con oggetti trovati in soffitta, il secondo in ordine
decrescente di età avrebbe fatto i costumi, era bravo con forbici e colla. Leone
era lo sceneggiatore, e il piccolo... beh, il minore doveva aiutare un po'
tutti alla bisogna.
La notte di Natale, durante la cena, i ragazzi non stavano
nella pelle per la gioia di fare la grande sorpresa ai genitori. Leone guardava
mamma e papà scambiarsi occhiate affettuose, e ricordò che ogni sera suo padre,
al ritorno dal lavoro, non dimenticava mai di dare un bacio alla moglie. Pensò
a tutte le buone cenette che sapeva cucinare la mamma con gli ingredienti
semplici che potevano permettersi. E guardò il suo piatto, dove un bel pezzo di
pollo arrosto mandava un profumino delizioso. In cucina c'era persino la torta,
decorata con glassa al cacao e alberelli natalizi di mandorle e zucchero! Si
sentì molto fortunato. Non era più un bambino povero; circondato da tanto
amore, adesso era il ragazzo più ricco del mondo! Cosa stava accadendo, forse
un miracolo? No, era una magia, e l'aveva creata lui, ora che sapeva come fare,
ora che lo specchio della vita rifletteva la sua immagine felice!
I fratelli avevano ridacchiato, complici, durante tutto il
pasto, e una volta finita la cena saltarono letteralmente giù dalle sedie per
cominciare lo spettacolo. Il fratello maggiore sbucò vestito di nero fuori dai
teli che facevano da sipario, con una finta barba bianca e incedere solenne.
Leone e l'altro fratello avevano due berretti in testa e reggevano uno
specchio, e il piccolo sedeva sopra a una cassa che fungeva da panchina, con
l'aria triste da attore consumato. Leone aveva messo in scena l'incontro con il
vecchio, che più ci pensava più era sicuro fosse un mago! Con quel piccolo
spettacolo voleva insegnare alla sua famiglia il segreto della felicità. E ci
riuscì, perché la misteriosa legge dello specchio piacque a tutti, anzi, li
entusiasmò, e tutti decisero di metterla in pratica.
I genitori applaudirono i figli, si erano divertiti
moltissimo ed erano commossi. Mentre la casa risuonava di chiasso gioioso,
suonò anche il campanello. Mamma e papà si guardarono in faccia con aria
interrogativa: non aspettavano nessuno! Quando aprirono la porta, videro un
sacco poggiato a terra e una figura di spalle che si allontanava rapidamente. I
ragazzi nel frattempo pigiavano accalcati l'uno contro l'altro dietro ai
genitori, per vedere chi aveva suonato il campanello della loro casa nella
notte di Natale. Quando il papà trascinò dentro il sacco e lo aprì, calò un
silenzio fatato: era pieno di doni! Ce n'era uno per ogni componente della
famiglia e ciascuno ricevette una cosa che aveva molto desiderato. Il dono di Leone
fu uno zaino nuovo, favoloso, con dentro una favolosissima scatola di cinquanta
pastelli colorati, un album da disegno con un sacco di fogli, e persino la
serie completa dei suoi pupazzetti preferiti. Quante storie e avventure avrebbe
potuto inventare adesso con tutti i personaggi al completo, e quanti bei
disegni sarebbe riuscito a creare! Era troppo felice, gli veniva quasi da
piangere!
Nessuno riuscì mai a sapere chi avesse portato doni nella
notte di Natale più bella dell'intera famiglia. Nessuno tranne Leone, il quale
era riuscito a vedere per un breve istante quel misterioso benefattore prima
che sparisse nel buio, e aveva riconosciuto il vecchio saggio barbuto. Si
trattava proprio di un mago, ora lo sapeva. Il mago più grande di tutti, il più
amato dai bambini: Babbo Natale!