L'Amore più grande
Le feste di Natale volgevano al termine. La casa era immersa in un "luccicoso" disordine di carta da pacchi colorata, allegri fiocchetti, candele consumate per metà e palline scintillanti appese ovunque. Il rosso, l'oro e l'argento delle decorazioni, delle tazze e persino dei confetti sui pasticcini, rendevano magica l'atmosfera con le loro frequenze mistiche e festose.
Nonno Moschino se ne stava beatamente acciambellato sulla sua poltrona preferita. Aveva quel nome dalla nascita, per via della macchia nera sul muso bianco. Era stato il più gracile della cucciolata, un mucchietto striminzito di ossa e pelo con una buffa moschina sul naso, e nessuno ci avrebbe mai scommesso che sarebbe diventato un così bel gattone!
Mentre nonno Moschino pisolava, i suoi nipoti cuccioli Mimi, Bibi e Chichi aspettavano l'arrivo della befana, ipnotizzati dal fuoco crepitante del camino, sul quale erano appese calze rosse gonfie di mistero. Soltanto quando la vecchia signora fosse apparsa avrebbero potuto svuotare le calze e sapere quali doni contenevano! L'attesa era trepidante, però al tempo stesso carica di timore.
I tre micetti si chiedevano se sarebbe arrivata all'improvviso, sfrecciando sulle loro teste a cavallo della scopa. Chissà se sghignazzava e faceva dispetti; in fondo era una strega!
Quell'ansia leggera ma quasi palpabile, rendeva insolitamente silenziose le tre piccole pesti, e nella dolce quiete domestica Moschino si addormentò. Le recenti abbuffate festive e il tepore del camino, certo conciliavano il sonno, e probabilmente i buoni sogni. Fu così che vecchio micio, proprio quel giorno, fece il sogno più strano di tutta la sua vita.
Si ritrovò a passeggio lungo la riva del mare, e dietro di lui c'era una lunga, interminabile fila di orme impresse sulla sabbia. Per quale strano motivo (i sogni sono sempre strani...), sapeva con certezza che quelle impronte erano i suoi passi nel passato.
Erano le orme delle sue zampe nel lungo cammino dalla nascita fino al tempo presente.
Tuttavia, se aveva quattro zampe, come mai di orme ce n'erano quasi sempre otto, cioè altre quattro di lato alle sue? Chi aveva camminato per tutto quel tempo, invisibile accanto a lui?
Un'altra faccenda attirava la curiosità di Moschino: le impronte erano otto quasi sempre, ma non sempre. In qualche tratto del percorso ne contava solo quattro, come se avesse fatto, qua e là, un po' di strada tutto solo.
Mentre la testa del vecchio gatto si riempiva di domande, gli venne incontro un micio tanto grande da oscurare il sole. Un micione bellissimo, bianchissimo, e con lo sguardo colmo di sconfinata dolcezza. Candido, maestoso e circondato da una luce tutta d'oro, sembrava una celestiale apparizione. La sua presenza riempiva a Moschino il cuore di un amore mai sperimentato. Non aveva dubbi: quello doveva proprio essere il Creatore! A dire il vero, il saggio nonno sapeva che l'aspetto del Creatore è un mistero, e se ci appare è la nostra mente che costruisce di Lui un'immagine, usando le poche conoscenze che possiede una mente terrestre. Quindi, forse, a un topolino apparirebbe come un candido topo gigante, e a un bambino come un uomo bellissimo in tunica bianca!
L'abbagliante micione sorrise e disse:
«Sì Moschino, quelle sono le orme della tua esistenza già trascorsa».
Moschino naturalmente non si stupì del fatto che il Creatore gli leggesse nel pensiero, e chiese: «Signore, perché le impronte sono doppie? Chi ha camminato al mio fianco per tutta la vita?»
«Io! Sempre!» affermò con tenerezza il Creatore.
Moschino rimase in silenzio qualche istante e poi domandò ancora, un po'perplesso: «Perché in alcuni tratti del percorso ci sono soltanto le orme di quattro zampe e non di otto, se Tu mi eri sempre accanto?»
«Quelli sono i momenti più difficili della tua vita, quando hai molto sofferto. Ricordi l'automobile che ti travolse e tu quasi perdesti la coda? O il tempo della povertà e della fame, quando eri così denutrito da non avere la forza di cacciare e di pescare per procurarti il cibo? O quando una malattia si prese tua moglie, ricordi il dolore della solitudine, vero?»
«Ma Signore, se ci sono le orme di un gatto soltanto nei momenti peggiori che ho trascorso, significa che mi hai lasciato solo proprio quando avevo più bisogno di te! Non capisco... »
Il Signore a quel punto diventò tanto luminoso che Moschino non riusciva più a guardarlo. E dentro la Luce, la Sua voce armoniosa come un canto disse:
«Mia amata creatura, in quel pezzo di strada ci sono le orme di un solo viandante, le Mie, perché ti stavo portando in braccio!»
Dopo quella risposta il Creatore raccolse tra le zampe Moschino ancora una volta, un attimo prima che si risvegliasse sulla comoda, vecchia poltrona, nel tepore della sua casa addobbata a festa.
I tre nipotini stavano chiassosamente svuotando le calze, e tiravano fuori caramelle al formaggio, bocconcini di pesce e divertenti gomitoli di lana.
«Nonno. nonno!» gridarono tutti insieme. «È passata la befana mentre dormivi! Ha volato sulle nostre teste facendo tanti otto nell'aria, poi ha staccato le calze dal camino ed è volata fuori dalla finestra!»
Moschino quasi non riusciva a mettere a fuoco la stanza, ancora abbagliato dalla luce del suo sogno e ancora avvolto nell'amore dell'abbraccio divino. Saltò giù dalla poltrona con un vigore tutto nuovo e andò dai cuccioli per leccare a turno i loro deliziosi musini. Non si era mai sentito tanto felice e leggero in tutta la sua vita. Ora non doveva più preoccuparsi per le creature che amava. Ora sapeva che non sarebbero mai state sole, e che durante le scalate sulle più aspre montagne del dolore, o nel guado dei fiumi più impetuosi della vita, chi li aveva creati, come un vero Padre, li avrebbe portati in braccio.
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